Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 30 gennaio 2006 C’era una volta l’acqua. Pulita, di tutti, per tutti. Ci sono oggi le guerre dell’acqua e le lotte per l’acqua, sempre più inquinata, sempre più patrimonio di pochi, sempre più un privilegio. E sì che parliamo del bene pubblico per antonomasia, l’origine ed il sostegno di ogni forma vivente, un diritto naturale di ogni essere umano. Qui e nel resto del mondo. Eppure proprio attorno all’acqua si scopre il significato di globalizzazione e che le battaglie per l’acqua hanno un comune denominatore, che siano condotte sulle Alpi o nei paesi impoveriti. E che i problemi che appaiono locali contengono invece elementi e valori che sono universali e per questo “globali”. E’ il caso di due eventi, accaduti a pochi giorni ma a molti chilometri di distanza. Nel primo caso si tratta dell’adozione dell’appello di Bamako, dal nome della capitale del Mali che ha ospitato l’ultimo forum sociale mondiale; nel secondo dell’allarme che giunge dal lago d’Idro, l’antico Eridio, splendido lago prealpino ridotto ormai a cloaca da un dissennato sfruttamento, una vera e propria rapina ai danni delle comunità locali. Bamako è bagnata dal fiume Niger, uno dei principali fiumi del mondo. Chi lo sfrutta e lo inquina a monte, in Senegal, chi a valle, in Nigeria. Intanto Bamako vede calare il livello e la qualità delle acque, qui così scarse ed essenziali. E allora arrivano le privatizzazioni, chi vuole l’acqua la paga a peso d’oro, gli altri si accomodino al fiume, inquinato. La lotta degli africani è dunque per un accesso libero ad una risorsa da tutelare. Vogliono essere sovrani del bene pubblico, vogliono decidere loro a chi darlo ed in cambio di che cosa. Perché l’essenza della democrazia, e se vogliamo anche quella dell’autonomia di un territorio risiede proprio nell’esercizio del diritto di proprietà sui beni essenziali per la sopravvivenza di una comunità. Un problema di sovranità, quello di Bamako, che è uguale a quello che emerge anche lungo le sponde del lago d’Idro, lago posto in territorio lombardo ma che bagna a nord anche una sponda trentina. Un lago che sta morendo. E’ questo il grido d’allarme sollevato domenica scorsa in occasione dell’ennesima manifestazione organizzata in questo caso dalle pro loco della sponda bresciana e di quella trentina per denunciare il grave stato di salute e le inadempienze della politica. Stavolta le associazioni sono passate dalle parole ai fatti ed hanno incaricato un legale di “mettere in mora” Lombardia e Trentino affinché intervengano in via definitiva per la soluzione del problema degli indecenti prelievi irrigui, a tutela della salute del lago e delle popolazioni rivierasche. Da decenni infatti il lago d’Idro è sottoposto ad un regime di prelievi spaventoso, nel quale il soggetto controllato è stato al tempo stesso controllore: oltre 27 metri cubi al secondo vengono prelevati dai consorzi irrigui del bresciano e del mantovano, per un totale che varia dai 550 ai 750 milioni di metri cubi all’anno, con fluttuazioni fino a 7 metri della quota del lago. Ciò rende impossibile la vita naturale dello specchio lacustre, provocando un inesorabile degrado e mettendo a repentaglio le attività tradizionali e quelle turistiche. L’immissario del lago d’Idro è il fiume Chiese, che nasce nel parco Adamello-Brenta. Sfruttato fin quasi all’ultima goccia dalla grande derivazione Enel di Bissina-Boazzo-Cimego, il Chiese versa anch’esso in uno stato comatoso dal punto di vista ambientale, nonostante le consistenti opere di depurazione messe in atto dalla Provincia di Trento. Certo il Chiese nei decenni scorsi ha riversato di tutto nel lago d’Idro e dunque anche i trentini hanno le loro belle colpe, ma almeno da qualche anno la situazione ha preso la via del miglioramento. Completa il quadro ambientale il biotopo nel comune di Bondone di Storo, riconosciuto Sito di interesse comunitario da parte dell’Unione Europea: è posto al margine del lago, tanto che le sue fluttuazioni rischiano di comprometterne l’esistenza. Quali soluzioni sono emerse ad Idro? Di tutto e di più. Da una lotta dura, del tipo no-TAV Val di Susa ad una forma più soft, come l’astensione dal voto, prefigurando perché no una massiccia adesione al Trentino, tanto Lamon insegna! In effetti l’autonomia trentina, con le competenze ed i suoi soldi, sembra offrire maggiori garanzie di poter esercitare la sovranità e la tutela sui beni collettivi, come l’acqua appunto. Anche per questo il Trentino deve seguire da vicino le vicende del lago d’Idro: per aiutare i lombardi a tutelare il lago, che è loro ma è anche nostro. O meglio, che è di tutti, come l’acqua del Niger che scorre a Bamako. |
ROBERTO
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